martedì 29 marzo 2011

Racconto numero 15 - Una ragazza dal cielo

Racconto numero 15
Una ragazza dal cielo
                                                          (L'autore rimane anonimo per favorire l'imparzialità)

Fisso il buio della stanza, penso sia tardi, non filtrano luci dalle persiane, con due corpi che ti dormono addosso è difficile distinguere, lei conosciuta solo da una settimana e l’altra che conosco da una vita, dal primo bacio dato ad una ragazza. Le sensazioni sono discordanti come anche i ricordi, tutto è successo con incredibile celerità, non ci siamo nemmeno chiesti se fosse morale o giusto molto semplicemente abbiamo fatto l’amore.
Solitaria era la mia esistenza, rincorrevo sogni ad occhi aperti, cercando riparo nella quotidianità, nelle piccole abitudini, troppo codardo forse per affrontare una relazione che si costruisse col tempo su di una base stabile di fiducia e amore reciproco, troppo meschino e cinico per preoccuparmi di qualcun altro se non di me stesso. Nessuna giustificazione mi avrebbe impedito però di rispondere alla chiamata di Cristina che nel cuore della notte mi svegliò sconvolta e senza nessuno di cui fidarsi se non del suo più intimo e caro amico. Quella notte chiara e tiepida di un caldo fuori stagione per essere ottobre, restammo ore a parlare su di una panchina bagnata con le mani che lentamente si avvicinavano, si stringevano e si univano per non lasciarsi mai più. Un intero week-end passato a letto, sfiancati da tanto sesso quanto mai ne avevamo fatto in vita nostra. Vale tanto la pena di chiedersi se si è al punto in cui gli istanti contraendosi si trasformano in gocce che scendono gravi dalle sue guance alle mie ed alla trasparenza che si cela al di là dei più catastrofici incubi? Pioggia acida sulla parabola del buon samaritano, sulle protesi ammaccate che cingono i nostri fianchi. Le palpebre che a nient’altro servono se non a difendere le nostre pupille dall’accecante assurdità delle nostre emozioni, sono stanche e non vogliono più chiudersi per non correre il rischio di rimanere abbagliate. All’alba di quella che sembrava una nuova esistenza, una nuova trascendente allusione alla felicità, fece freddo all’improvviso sia fuori che dentro di me. Cumuli su cumuli di macerie incenerite dalla violenza e dall’urto dell’amara certezza che nonostante lei fosse mia, qualcosa mancava affinché questa morbosa dipendenza dall’essere incostante e superficiale smettesse di sbraitarmi contro, voltandole le spalle, nel momento del bisogno mi sarei sentito libero di farmi del male non riuscendo a fare del bene.

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