sabato 12 febbraio 2011

Racconto numero 3 - PAUSA OMICIDIO

Racconto numero 3 
PAUSA OMICIDIO
(L'autore rimane anonimo per favorire l'imparzialità)



Provo a chiudere un attimo gli occhi.
Li riapro.
Non serve: il morto è ancora là, disteso sul lettino.
Potrebbe non essere un problema se il lettino non fosse mio.
Non l’appartamento. Quello è in affitto. Sono solo quarantasei metri quadri, ma una modesta attività come la mia non richiede molto più di una stanza, un lettino e un po’ di attrezzatura, che nel caso di uno che toglie i calli è poca cosa. Tra gli attrezzi del mestiere, naturalmente, anche dei bisturi, la maggior parte dei quali sono allineati in bella mostra su un carrellino a ruote.
Tranne uno.
Quello che manca è conficcato nella giugulare del tizio sul lettino.
Sangue non ne esce più dalla ferita. Buona parte di quello che era nel corpo del morto, un tipo anonimo di una quarantina d’anni, con una grossa pancia e pochi capelli, è ora distribuito sul pavimento, sulla parete e su un camice appallottolato e buttato in un angolo, che l’assassino deve avere indossato mentre lo sgozzava.
Anche il camice, ovviamente, è mio. Lo avevo appeso all’attaccapanni nell’angolo prima di uscire per il pranzo. Vicino al camice un grumo di cotone. Gli occhi vanno istintivamente alla boccetta dell’etere che a volte uso per anestetizzare i pazienti prima di una operazione che si annuncia particolarmente dolorosa. Giurerei che il cotone ne è impregnato e che la vittima lo ha respirato.
A tradimento.
Non vomiterò il pranzo sul pavimento. La scena non è di quelle che si guardano a cuor leggero, ma uno che ha fatto per vent’anni il patologo ha lo stomaco allenato. Piuttosto è il cuore che mi preoccupa. Ho superato i sessantacinque e non è che abbia fatto una vita tanto tranquilla. Quindici di questi li ho passati in una prigione, da cui sono uscito da poco, cercando di rifarmi uno straccio di vita con questo lavoro per il quale, a volerla dire tutta, non ho neanche la licenza.
Ero uno stimato professionista una volta. Avevo una famiglia, anzi: quella che si definisce comunemente una “bella famiglia”. Almeno all’apparenza.

giovedì 10 febbraio 2011

RACCONTO numero 2 - La meretrice

Racconto 2
LA MERETRICE
(L'autore rimane anonimo per favorire l'imparzialità)


Si chiamava Elena e pensava di essere come quella Elena del mito, bellissima, amata, capace di scatenare una guerra con il proprio fascino. Non era così, era una donnetta insipida e persino brutta con il suo aspetto simile allo stereotipo della strega: lunghi capelli neri e ricci, il volto con il naso aquilino e gli occhi feroci circondati dai segni di un tempo che passava anche per lei. Compensava il proprio aspetto con una falsa simpatia che sapeva incantare, mentre il suo animo elaborava crudeltà mentali, perseguendole sino all’annientamento della vittima prescelta. Lei le vittime le sceglieva minuziosamente, le irretiva come un ragno con la tela, ne carpiva la piena fiducia, poi le uccideva. La morte che riservava non era mai fisica, ciò che cancellava con abilità distorta era l’esistenza, la serenità, la felicità.
Elena era una meretrice, ma non di quelle che vendono se stesse, no, quelle sono prostitute, non meretrici! Lei era una meretrice di quelle che parlano di valori e poi per prime li infrangono continuando a sostenerli e accusando gli altri. Dava parvenza di perseguire il giusto e passava le giornate a giudicare, sancendo regole bigotte e retoriche. Elena era sposata con un omuncolo qualunque, scelto perché non capisse, non contestasse, completamente fascinato da lei, perché certe meretrici sanno abbattere le difese pur senza alcun merito visibile. Elena aveva una figlia, una bella figlia, venduta per soldi al miglior offerente alla prima richiesta, ancora bambina senza che se ne rendesse conto. Ma Elena aveva anche un amante, un giovane che come il marito non aveva retto le sue capacità seduttive e si era lasciato rovinare la vita, perdendo lentamente moglie, amici, dignità. Anch’egli un fantoccio senza rilevanza nelle mani di un burattinaio pazzo che era Elena.
Elena aveva ferito e infangato tante persone, le aveva piegate sotto il giogo della maldicenza oppure le aveva indotte a reazioni inconsulte, inneggiando poi la Legge. Elena puntava sempre i più deboli, i suoi bersagli preferiti erano i bambini e faceva in modo che i genitori degli stessi fossero giudicati inadatti. Lei che aveva venduto la verginità di sua figlia a un vecchio…
Elena era razzista, ma di un razzismo gretto e infantile, senza basi, senza giustificazioni neppure storte perché Elena era ignorante, un abisso illetterato per certi versi, incapace di comprendere le differenze tra religione, razza, stirpe, genia.
Fu questo il passo falso che, dopo anni di ipocrita simpatia atta al danneggiamento, fece trovare la meretrice Elena riversa sul marciapiede ad annegare nel proprio sangue.

Il maresciallo Rozzi osservò la scena del crimine senza emozione. Eppure la gola era stata tagliata di netto, con una precisione che riconobbe subito. Erano stati gli albanesi. Il gruppo degli albanesi era noto in paese e temuto ovviamente e contrastato, nei limiti delle possibilità che dava la Legge. L’appuntato accanto a lui non tratteneva conati di vomito e lo invitò ad allontanarsi: non valeva la pena star male per la meretrice Elena.

mercoledì 9 febbraio 2011

RACCONTO 1



 Racconto numero 1 - MeridioNoir
(L'autore rimane anonimo per favorire l'imparzialità)

Un uomo solo. Una canna in mano e tanta irritabilità.
Hashish, fiamma.
Una boccata, fumo.
Squilla il telefono.
Capo, hanno rinvenuto un altro corpo. 
Porca puttana, chiama più tardi. 
Il commissario del distretto Luovi Est, Carmine Migliani, riposava dopo settimane passate a inseguire un assassino ignoto. Le vittime: tutte donne, aveva visto le foto e ne aveva sempre elogiato gli attributi, sicuro che il numero sarebbe aumentato se non avesse risolto la questione entro breve.
Spero l’abbiate trovato qui vicino, perché non muovo il culo finché non viene qualcuno a prendermi. 
L’orologio contò i minuti, già la volante rimandava i fari sui palazzi del quartiere. Pi-pi-pi, pi-pi-pi, vuoi svegliare mezzo mondo? Sentì il clacson mentre il portone si spalancava, e aprì lo sportello di guida facendo accomodare il collega affianco. Stasera sclero, gli disse. Subito una prima ruggente graffiò l’asfalto di Corso Cavour.
Qualche chilometro avanti Parrotta aveva delimitato la scena del crimine, a minchia, avrebbe detto il commissario, data la distanza ridotta tra il cadavere e i curiosi.
Levatemi ‘sta gente dalle palle, entrò salutando, almeno i bambini! E’ un omicidio, mica un film! Seppure indelicate, le sue parole avevano valore etico a volontà.
Domò la collera appena gli occhi inquadrarono dei resti umani dietro una pozza di sangue. La ragazza giaceva al suolo, chissà con quale violenza era crepata. Secondo il dottore è avvenuto prima lo stupro e in seguito la tortura; l’identico procedimento degli altri casi: gambe, orecchie, braccia amputate, capelli laceri.
Bella bega. Lo psicopatico ha puntato i pezzi da novanta.
I flash travolgevano Rossana Varradi, ovvero quel che ne avanzava, il nuovo scoop luoviano. La moglie del primo cittadino era l’esclusiva offerta alle testate giornalistiche.
La trascinò via una barella quando le alte cariche locali si radunarono sul luogo, ognuno ansioso di ammanettare il colpevole.

I PRIMI RACCONTI di SUSPENSE TALE

Eccoci pronti a postare i primi racconti 
del concorso SUSPENSE TALE!

Vi ricordiamo che si tratta dell'incipit e che se vi piace potrete votarlo.
Come si fa a votare? 
Si commenta sotto il post del racconto. 
Potete votare quanti racconti volete, ma una sola volta per racconto.  
I commenti anonimi non verranno considerati!