domenica 10 aprile 2011

Racconto numero 23 - Lacrime


Racconto numero 23
Lacrime
(L'autore rimane anonimo per favorire l'imparzialità)

Sono dentro la cattedrale della vita e, che tutto continui così, è la tragedia. Tutto fuori incessantemente brucia.
Dopo Auschwitz – dicono – scrivere una poesia è un atto di barbarie. Anche un romanzo, credo io. Dunque sono entrato in crisi. La tragedia non mi lascia più il tempo di pensare, ha riempito incessantemente i miei pensieri, la mia esistenza.
Eppure una volta scrivevo, scrivevo tanto e senza fatica. La commistione inenarrabile tra ecologia e potere ha letteralmente massacrato la mia voglia di raccontare. Perché raccontare se nessuno vuole ascoltare?
L’etica è innanzitutto e perlopiù l’orrore autentico per questa realtà, un rifiuto totale di questa realtà. Ho cercato, nel corso degli anni, di denunciarne alcuni aspetti ma il rifiuto parziale è stato una sottomissione a ciò che contestavo. Sono giunto al punto di massima distanza tra me stesso e l’altro da me stesso e devo risanare, senza indugi, questa rottura che martella sul ciglio del mio cuore, o su ciò che resta di esso. Dicono che oggi lo scrittore abbia perso l’ancoraggio al sociale e che abbia smesso di criticarlo. L’ottocento era il secolo della critica, dei grandi romanzi distopici che descrivevano per metafore le situazioni angosciose e di dominio. Chi critica agli scrittori odierni un disinteresse al sociale, non ha capito che le metafore angosciose ottocentesche oggi si sono avverate.
Troppo, e troppo a lungo abbiamo sperato nel miracolo, ma la morte di Dio s’è portata via tutte le speranze, le carezze di un’esistenza autentica e rappresentativa della natura. La cultura si è fatta altro dalla natura, ed io mi sono separato dagli animali. Lo scrittore di oggi non riesce più a distendersi in mezzo a loro, per loro e soltanto per loro Auschwitz è ancora qui, e la poesia si allontana sempre più inesorabile.

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